URANIO. MISSIONI ESTERE E DINIEGO CAUSA DI SERVIZIO

L’amministrazione contesta le argomentazioni del ricorrente  non riconoscendo la causa si servizio e considerando il rischio del militare,per il servizio prestato , un rischio generico. Valutazione spettante solo all’amministrazione.

Il  Tar  CAGLIARI accoglie il ricorso motivando dettagliatamente la sua decisione, affermando che si inverte l’onere della prova una volta che il ricorrente prova l’esposizione. In ordine al sindacato sulla discrezionalità tecnica, invece, il giudice non si sostituisce all’amministrazione ma valuta il procedimento applicato dalla stessa,  rilevando  nel caso di specie errori nell’applicazione delle norme tecniche.

allegata sentenza TAR SARDEGNA  :

Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Alcuni chiarimenti in punto di fatto.
Intanto, non è in contestazione la malattia del ricorrente.
Si tratta di “xxxxxxxxxxxx” per la quale si è reso necessario intervento chirurgico di xxxxxxxxxxxxxxxx e successivo trattamento radioterapico. Ugualmente non in contestazione sono le circostanze di fatto riferite dal ricorrente, vale a dire le missioni svolte e le condizioni in cui esse sono state svolte. Quel che resta da verificare è la sussistenza del nesso causale tra le riferite circostanze di fatto e l’insorgere della malattia del ricorrente. Se, in altre parole, la malattia è dipesa da causa di servizio. Tale valutazione non spetta certo al Giudice ma all’amministrazione.     E’ quindi corretto quanto affermato dall’amministrazione, in linea generale, in ordine al sindacato sulla discrezionalità tecnica. Sono le conclusioni tratte da quell’affermazione a non essere condivisibili.
Vediamo per quali ragioni.
Il Comitato di verifica per le cause di servizio ha espresso il seguente parere: l’infermità in questione non poteva riconoscersi dipendente da fatti di servizio in quanto: “nella fattispecie non si può attribuire ruolo concausale all’aver prestato servizio in zone disagiate o in ambienti ritenuti inidonei, poiché tali condizioni costituiscono un rischio generico, che riguarda tutta la comunità di lavoro, nell’ambito della quale non risulta si sia verificato un incremento dei casi di soggetti affetti dalla malattia in questione statisticamente rilevante ai fini del riconoscimento dell’aggravamento delle condizioni di rischio tale da concretizzare i presupposti del nesso di causalità o di con causalità efficiente e determinante”. Il Collegio intende puntualizzare alcuni principi in ordine al concetto di sindacato sulla discrezionalità tecnica.
Con l’espressione “discrezionalità tecnica” si indica un’area dell’attività dell’amministrazione posta tra le certezze scientifiche e le certezze giuridiche, in altre parole, tra il diritto e la tecnica.
Si concretizza in valutazioni svolte dall’organo amministrativo, fondate su regole e concetti richiamati dalla norma, ma trascendenti il diritto stesso, in quanto propri di scienze non esatte.
Intanto va chiarito un aspetto preliminare.
Le valutazioni cui ci riferiamo sono sempre complesse. Per ciò stesso esse sono caratterizzate da un margine di opinabilità.
Il punto su cui occorre soffermarsi è che la scienza fornisce più soluzioni al singolo problema.
La determinazione di quale sia la scelta migliore è rimessa alla pubblica amministrazione.
Si tratta di vedere quale sia il ruolo del Giudice.
L’area della discrezionalità tecnica, storicamente, era considerata estranea ad ogni possibilità di sindacato giurisdizionale fino al radicale cambiamento della posizione della giurisprudenza espresso con la storica sentenza del Consiglio di Stato 9 aprile 1999, n. 601.
Nella citata sentenza, il Consiglio di Stato descriveva in modo plastico la differenza tra opinabilità e opportunità, precisando che solo quest’ultima, ossia la valutazione dell’interesse pubblico, rientra nel merito dell’atto amministrativo, insindacabile in sede di giudizio di legittimità.
Lo stesso non può dirsi per l’applicazione di una norma tecnica cui una norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta, anche qualora ad essere opinabile sia una questione di fatto preliminare a una scelta di merito.
Siccome il giudice amministrativo ha piena conoscenza del fatto non è sufficiente un mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì è necessaria una verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.
In caso di inattendibilità delle valutazioni complesse si integrerebbe un vizio di legittimità del provvedimento.
Il giudice può quindi esprimersi sulla correttezza della regola tecnica adottata, poiché, in sintesi, violare la norma tecnica significa violare la norma giuridica.
Il problema quindi non sta nella sindacabilità delle valutazioni tecniche ma piuttosto nel determinare i confini dell’intervento del giudice.
Ed è su questo punto che il Collegio intende chiarire la propria posizione.
Il controllo del giudice è chiaramente pieno, ossia tale da garantire piena tutela alle situazioni giuridiche private coinvolte ma il giudice non può agire al posto dell’amministrazione, potendo, invece, sicuramente censurare la scelta inattendibile, frutto di un procedimento di applicazione della norma tecnica viziato, e annullare il provvedimento basato su di essa.
Lo schema del ragionamento che il giudice deve fare sulle valutazioni tecniche può essere così descritto:
  1. a) il giudice può limitarsi al controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito nell’attività amministrativa se ciò appare sufficiente per valutare la legittimità del provvedimento impugnato e non emergano spie tali da giustificare una ripetizione, secondo la tecnica del sindacato intrinseco, delle indagini specialistiche;
  2. b) il sindacato può anche consistere, ove ciò sia necessario ai fini della verifica della legittimità della statuizione gravata, nella verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo;
  3. c) devono ritenersi superati ostacoli di ordine processuale capaci di limitare in modo significativo, in astratto, la latitudine della verifica giudiziaria sulla correttezza delle operazioni e delle procedure in cui si concreta il giudizio tecnico ma questo non toglie che, anche in relazione ad una non eludibile esigenza di separazione della funzione amministrativa rispetto a quella giurisdizionale, il giudice non possa sovrapporre la sua idea tecnica al giudizio non contaminato da profili di erroneità e di illogicità formulato dall’organo amministrativo al quale la legge attribuisce la penetrazione del sapere specialistico ai fini della tutela dell’interesse pubblico nell’apprezzamento del caso concreto.
Paradigmatica dello schema sopra riassunto è la pregevole pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 maggio 2002, n. 2334.
Ciò detto, va ancora precisato quanto segue.
Se è assodato che il giudice ha pieno accesso al fatto, occorre chiarire bene che cosa questo concetto stia a significare.
L’accesso al fatto non vuol dire sostituzione alla pubblica amministrazione nelle valutazioni ad essa riservate. E’ su questo che talvolta si crea un equivoco di fondo.
I momenti nel ragionamento del giudice sono due, ben distinti.
Il primo è l’accesso al fatto; è in quest’ambito che il giudice può sostituirsi alla p.a. nella verifica della sua effettiva sussistenza.
Il secondo è la contestualizzazione di concetti giuridici indeterminati che richieda l’applicazione di scienze inesatte.
In questo secondo segmento del processo logico, emergono i limiti al sindacato
(cioè il momento in cui il giudice non può sostituirsi alla p.a.).
E riprendiamo la distinzione tra opinabilità e opportunità ben delineata dal Consiglio di Stato nella già citata sentenza 601/1999.
Scontata l’opinabilità della valutazione, il giudice non potrà sostituirsi
all’amministrazione, essendogli consentita la sola verifica di ragionevolezza, coerenza e attendibilità delle scelte compiute dalla stessa.
Se è stata riscontrata una corretta applicazione della regola tecnica al caso di specie, il giudice deve fermarsi, quando il risultato a cui è giunta l’amministrazione è uno di quelli resi possibili dall’opinabilità della scienza, anche se esso non è quello che l’organo giudicante avrebbe privilegiato.
Un conto, quindi, è l’accertamento del fatto storico (che precede tutto) e un conto è la contestualizzazione del concetto giuridico indeterminato richiamato dalla norma.
Quest’ultimo è fuori dall’accertamento del fatto e rientra nel suo apprezzamento, questo sì, sottratto alla completa sostituibilità della valutazione del giudice a quella dell’amministrazione.
In conclusione, il sindacato del giudice è pieno, penetrante, effettivo, ma non sostitutivo.
Dinnanzi a una valutazione tecnica complessa il giudice può ripercorrere il ragionamento seguito dall’amministrazione al fine di verificare in modo puntuale,anche in riferimento alla regola tecnica adottata, la ragionevolezza, la logicità, la coerenza dell’iter logico seguito dall’autorità, senza però potervi sostituire un sistema valutativo differente da lui stesso individuato.
Stabiliti questi punti fermi è agevole concludere che le censure del ricorrente sono fondate.
E il punto sta proprio nel fatto che le valutazioni del Comitato di verifica sono manifestamente illogiche o, meglio, del tutto apodittiche.
Il parere si risolve nel fornire una motivazione di stile, del tutto apparente, non in grado di consentire la ricostruzione dell’iter logico-giuridico che ha indotto ad escludere il nesso di causalità tra attività espletata e patologia insorta.
Il Comitato di Verifica non ha dato conto dell’insieme di fattori di rischio riconducibili all’esposizione di inquinanti in ambito lavorativo, né ha fornito congrue ragioni per escludere che le particolari condizioni di impiego del militare potessero aver influito sull’insorgere della patologia in contestazione.
Non vi è traccia di una effettiva considerazione del potenziale effetto patogeno dei fattori di rischio, ormai pacificamente riconosciuti pericolosi, menzionati dal ricorrente.
 Nulla si dice in ordine all’esposizione all’inquinamento atmosferico, alle contaminazioni tossiche provocate dall’impatto ed esplosione di munizione anche  all’uranio impoverito, alle esalazioni dei gas di scarico degli automezzi bellici e dei solventi chimici per la pulizia delle armi, alla sottoposizione alla massiccia somministrazione di vaccini, tutti elementi che hanno indotto lo stesso legislatore nazionale a riconoscere l’esistenza di appositi benefici economici in favore del personale interessato
Su analoghe questioni si è formata una giurisprudenza consolidata nel senso di ritenere che il Comitato di verifica non possa escludere la sussistenza del nesso causale sulla base di motivazioni insufficienti o apparenti (in questo senso, tra le altre, T.a.r. Trentino Alto Adige, Bolzano, sez. I, 08 febbraio 2017, n. 55, T.a.r. Puglia, Bari, Sez. I, 20 settembre 2018, n. 1226, T.a.r. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 12 marzo 2018, n. 63).
Va peraltro ricordato che a un condivisibile filone giurisprudenziale si fa risalire l’affermazione del principio secondo cui “in tema di accertamenti in ordine alla dipendenza da causa di servizio, l’impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto tra l’impiego nei contesti
fortemente inquinati dei teatri operativi (nella specie il ricorrente era stato impiegato nel 2002 nel Kossovo in zone interessate dall’utilizzo di ordigni all’uranio impoverito) e la patologia neoplastica comporta che non debba essere richiesta la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo invece sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici, come indicato nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta nominata in materia. In tale ottica, il verificarsi dell’evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto « criterio di probabilità », a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l’esposizione del militare all’inquinante in parola, l’amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l’insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica”(T.a.r. Liguria, sez. I, 29 settembre 2016, n. 956).
Va anche ricordato che la stessa Corte di Cassazione, in controversie affidate alla giurisdizione del Giudice ordinario, non ha mancato di riconoscere il risarcimento del danno in relazione alla partecipazione ad una missione di natura militare in adempimento di un dovere di ufficio con conseguente contrazione di una grave malattia