Il Tribunale del Lavoro di Monza accoglie il ricorso
In tema di benefici in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad essi equiparati l’ammontare dell’assegno vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, essendo la legislazione primaria in materia permeata da un simile intento perequativo ed essendo tale conclusione l’unica conforme al principio di razionalità-equità di cui all’art. 3 della Costituzione, come risulta dal “diritto vivente” rappresentato dalla costante giurisprudenza amministrativa ed ordinaria (vedi Cass. n. 7761/2017).
La Suprema Corte, consacrando il consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, ne ha ripercorso i passaggi argomentativi fondamentali, ricostruendo la corretta e “ragionevole” interpretazione della normativa vigente.
Con l’art. 4, comma 238, della legge n. 350 del 2003 è stato raddoppiato l’ammontare dell’assegno vitalizio in favore della vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, di cui all’articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407 “e successive modificazioni”, di conseguenza il relativo importo è divenuto pari ad euro 500,00 mensili e non più ad euro 258,23 (corrispondenti a lire 500.000).
Il d.P.R. n. 243 del 2006, emanato in base all’art. 1, comma 565, della legge n. 266 del 2005 -secondo cui il suddetto regolamento doveva definire soltanto tempi e modalità dell’erogazione dei benefici, in base ad una graduatoria unica nazionale per le vittime della legge n. 407 del 1998 per tali ultimi beneficiari – ha affermato che l’assegno vitalizio dovesse essere corrisposto (alle vittime del dovere ed equiparati) in un ammontare pari ad euro 258,23.
Tale disposizione, se intesa come precettiva, avrebbe creato un’irragionevole diversità di trattamento tra le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (il cui assegno, come si è detto, era stato raddoppiato di ammontare dalla legge n. 350 del 2003 cit., che pure ha fatto riferimento alla legge n. 407 del 1998) e le vittime del dovere.
Il Consiglio di Stato – a partire da Sez. IV, sent. 20 dicembre 2013, n. 6156 – con varie pronunce, ha, in via interpretativa, chiarito che alla misura dell’assegno indicata nel suddetto art. 4 del d.P.R. n. 243 del 2006 non deve essere attribuito il valore di cristallizzazione del relativo importo, in quanto escludere le vittime del dovere e i soggetti equiparati dal disposto raddoppio dell’ammontare dell’assegno equivarrebbe a creare un’ingiustificata disparità di trattamento, che sarebbe anche in contrasto con l’evoluzione della legislazione in materia, permeata da un intento perequativo.
Ad avviso della Suprema Corte, l’orientamento giurisprudenziale risulta al punto consolidato e uniforme da assurgere a “diritto vivente” .
Occorre rilevare altresì che l’art. 2, commi 105 e ss., della legge n. 244 del 2007, ha previsto l’attribuzione ai figli maggiorenni delle vittime del dovere di un assegno vitalizio mensile di ammontare pari ad euro 500,00.
Anche alla luce di tale dato normativo, la Corte argomenta che possa trarsi implicita conferma anche da parte del legislatore della suddetta equiparazione, altrimenti producendosi un’ulteriore irragionevole disparità di trattamento tra figli maggiorenni delle vittime del dovere e vittime del
dovere stesse.
L’odierno giudicante condivide appieno le argomentazioni sopra richiamate e conseguentemente le conclusioni del Supremo Collegio.
Ritiene pertanto che il ricorso debba essere accolto riconoscendo al ricorrente il diritto all’adeguamento dell’assegno vitalizio già goduto.